Per chi mi chiede come faccio a scrivere le cose che scrivo.
Appena mi viene un’idea mi prendo un appunto. Poi mi siedo, apro un nuovo documento di testo e scrivo l’idea alla brutta, di getto. Scrivo anche cose da usare più tardi, che magari potrebbero essere sviluppate. Cerco dei libri utili, li compro. Vado online, cerco spunti, approfondisco e già che ci sono faccio una ricerca per immagini su Pinterest, così per aprire la mente. Dopo circa 6 ore mi rendo conto che sono confusa, non ho scritto un cazzo e che sto guardando da almeno 5 ore pettinature per capelli ricci, palette di colori pastello e arredamento shabby chic.
Salvo il documento contenente 4 righe con la devastante sensazione di essere un’inconcludente. Mi deprimo.
Il giorno dopo mi rimetto al computer, ma depressa, se non mi viene niente magari guardo un po’ di tele. Ma il “po’ di tele” diventa che guardo tutto il giorno ininterrottamente Netflix senza bere, mangiare o andare in bagno. Mi sento una stronza. I giorni seguenti ripeto più o meno la stessa storia alternando a Netflix film di merda fatti male che mi fanno piangere, su canali dopo il 25. Film dove generalmente muore la mamma, o muoiono i bambini, o il papà è cattivo. O dove qualcuno si ammala e muore. Se non muore, nemmeno guarisce. Oppure film d’amore tremendi, tedeschi o spagnoli. Dove non muore nessuno, ma piango lo stesso.
Quando arriva il week end, non riesco a staccare e me lo passo male. Mi sento una debole inadatta che non sa vivere e non ha metodo. E non ha nemmeno un lavoro vero.
Mi vieto il riposo perché in fondo so di non aver fatto nulla per meritarlo. Faccio l’isterica e litigo con il mio fidanzato che avrebbe tutto il diritto di riposarsi poiché lui, invece, lavora davvero.
La domenica sera esausta e inquieta, mi metto a letto e fissando il soffitto prometto a me stessa che l’indomani sarà diverso, mi metterò al lavoro, con un altro spirito soprattutto. Solitamente non dormo. Se dormo faccio degli incubi che hanno a che fare con il Demonio o con presenze oscure generiche.
Il lunedì mi sveglio presto. Mi metto al lavoro con il desiderio di scrivere cose belle e ho un bisogno di farcela talmente grande che l’ansia da prestazione mi stronca e sclero perché non riesco a scrivere cose nemmeno decenti. Tiro dei pugni ai cuscini e scrivo. Mi forzo. Mi sforzo tantissimo. Mi obbligo. Produco pagine e pagine. Per diversi giorni faccio questo. Alla fine, quelle poche cose che potevano avere senso non ci sono più perché ho modificato all’infinito e l’idea iniziale che era buona, forse buona, comunque è completamente persa. Spesso cerco conforto nel cibo, ma posso mangiare solo dei cibi senza glutine, lattosio, soia, nichel e legumi. Non trovo conforto.
In cerca di ispirazione, studio i libri che avevo comprato, che di solito sono inutili e noiosi. Ma li leggo lo stesso per una questione di principio e per punirmi. Guardo ossessivamente video che potrebbero ispirarmi. Dopo 6/8 ore sono fusa e mi rendo conto che sono finita a guardare video musicali indiani o quel video della bambina che sente la voce della mamma morta che canta, e piange. E piango pure io. Faccio un uso smodato di di Melissa spray per calmarmi. Mi calma e mi fa venire una sorta di felpa sulla lingua al gusto di anti zanzare.
Apro e chiudo più volte al giorno il documento iniziato settimane prima, lo leggo nelle pause che mi prendo mentre pulisco o mentre metto in ordine di colore le cose della casa. Pulisco senza gioia o soddisfazione e mi sembra, in fondo, di non essere nemmeno poi così brava a pulire.
Alterno insonnia e sonno di morte, dove posso dormire anche 15 ore di fila, mi sveglio angosciata e penso che forse, semplicemente, dovrei ammettere che non so davvero fare quello che penso di saper fare. E non sto parlando del pulire.
Però ogni mattina ricomincio. Mi siedo e rimango li. Provo, scrivo, cancello. Riscrivo da capo partendo da cose totalmente nuove. Ma no. Non va. Cestino il documento e mi rassegno al fatto che evidentemente non ho più niente da dire. A volte passeggio sul fiume, da sola, piangendo. Oppure piango direttamente a casa senza fare nemmeno la fatica di uscire. Ripercorro le tappe della mia vita, tiro le somme, mi metto in discussione, mi pongo domande sul valore e il senso di quello che faccio e mi chiedo cosa sto facendo. Trovo le risposte? Ma no, ovviamente.
Poi, così, tanto per fare, arriva il momento in cui recupero dal cestino il documento, che tanto lo sapevo che non era stato eliminato per sempre e lo rileggo. E a un certo punto come il tipo di Beautiful Mind vedo delle cose, poche e sparse che catturano la mia attenzione. Faccio piazza pulita. Faccio spazio. Apro un altro documento e le riscrivo. Scrivo anche altre cose che mi arrivano chissà come e ci stanno incredibilmente bene. Prendo degli appunti asciutti e sensati che eventualmente userò dopo. Ci lavoro circa 6 minuti. Uso qualcuna delle note prese all’inizio, tolgo senza esitazione quello che non funziona. Per qualche istante ho la sensazione di sapere quello che sto facendo. E infatti, in quegli istanti, lo so.
Salvo. Rileggo.
Il pezzo va bene.
Fine
Nino
Ciao cara Giorgia, camminando riempiamo le tasche di sassolini (o molliche di pane?) che troviamo per strada, sembrano inutili, poi un certo giorno li tiriamo fuori e li selezioniamo. Li spargiamo su una superficie dove li osserviamo meglio. Alcuni non ci erano parsi così belli. Solo allora cominciamo a giocare con loro e a capire che tutta quella camminata e quella raccolta erano il segreto di quel risultato. Così come nel tuo toccante racconto (come sempre autoironico) dove tutto torna. E Per un attimo tutto acquista senso. Ti abbraccio Nino